La riforma del peacekeeping alle Nazioni Unite

di M. Taucci

Ad oggi, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha in archivio più di 560 trattati multilaterali che disciplinano i diritti umani, il disarmo, il commercio internazionale, la protezione dell’ambiente. Dalla sua fondazione (1948), la ragion d’essere delle Nazioni Unite è il mantenimento della pace attraverso il multilateralismo, riconosciuto come uno dei pochi strumenti efficaci per prevenire e gestire i conflitti.

Il 22 settembre del 2024, i leader mondiali hanno adottato il Patto per il Futuro. Definito “l’accordo internazionale più ampio degli ultimi anni”, il Patto impegna gli Stati a riformare il Consiglio di Sicurezza per rimediare alla sua imperfetta rappresentatività (basti pensare alla storica sottorappresentazione dell’Africa). Per quanto riguarda il controllo degli armamenti, il disarmo nucleare rimane una delle priorità con l’obiettivo di mettere totalmente al bando questa tecnologia. Altri tentativi vengono effettuati al fine di prevenire la proliferazione dell’Intelligenza Artificiale applicata alle armi letali autonome (LAWS).

Anche le operazioni di pace delle Nazioni Unite devono migliorare la loro efficacia basandosi sull’Action for Peacekeeping (A4P). Attualmente, contingenti di pace sono presenti in 11 aree di crisi. Con la sola eccezione del Kosovo e del Jammu e Kashmir, le restanti missioni sono attive in Medio Oriente e Nord Africa (MENA, 5) e nell’Africa Sub Sahariana (4). Complessivamente, le forze messe a disposizione delle Nazioni Unite sono 61.353 tra personale militare, di polizia e amministrativo. La maggior parte di esse prende parte alla missione MINUSCA (Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic). Dal punto di vista numerico, i Paesi che maggiormente contribuiscono sono il Nepal (5.951), il Ruanda (5.897) e il Bangladesh (5.667).

Ai temi del Patto per il Futuro è dedicata l’imminente riunione ministeriale di Berlino (14-15 maggio 2025). Le priorità del vertice saranno il miglioramento della sicurezza e dell’incolumità del personale di peacekeeping e l’incremento dell’efficacia delle missioni alla luce del mutato contesto internazionale. Il processo di riforma si impegna a colmare le lacune che caratterizzano le missioni di peacekeeping come, ad esempio, la sottorappresentanza femminile tra i “caschi blu”, la transizione digitale (con particolare riferimento all’Intelligenza Artificiale) e la lotta al cambiamento climatico.