I nuovi dati relativi ai trasferimenti internazionali di armi.
di M. Simoncelli
Secondo l’ultimo rapporto del SIPRI “Trends in international arms transfers, 2024” del 10 marzo scorso, il volume complessivo dell’export di armi nel quinquennio 2020-2024 è rimasto lo stesso degli anni precedenti, ma gli Stati Uniti stanno diventando il più grande esportatore con una quota del 43% sul totale mondiale, seguiti da Francia (9,6%) e da Russia (7,8%). In questa graduatoria l’Italia (4,8%) si conferma nella sesta posizione, detenuta già dal 2021 mentre prima tra il 2009 e il 2015 era all'ottavo posto, poi al nono dal 2017 e al decimo nel 2020.
Nel periodo considerato ovviamente l’Ucraina è il maggiore importatore (8,8%), ricevendo armamenti da ben 38 paesi, soprattutto dagli Stati Uniti (45 %), seguiti dalla Germania (12 %) edalla Polonia (11 %). In relazione al conflitto in atto in Ucraina, l’import di armi da parte della NATO europea è più cheraddoppiato tra il 2015-19 e il 2020-24 (+105 %). Principali fornitori sono gli Stati Uniti (64 %), piùdel 52% rispetto al periodo precedente, seguiti da Francia e Corea del Sud (ambedue 6,5%), Germania (4,7 %) e Israele (3,9%).In particolare gli Stati Uniti, passati dalla già notevole quota del 35% a quella attuale del 43%, si confermano il più grande arsenale in vendita a 107 clienti, destinato per il 35% all’Europa e per il 33% al Medio Oriente, soprattutto all’Arabia Saudita (12%).
Di contro l’export della Russia (sottoposta a sanzioni anche in questo ambito) si è andato contraendo ancora: -64% rispetto al quinquennio precedente, sia perché gli armamenti di Mosca vengono utilizzati nel conflitto in corso, sia perché i suoi due tradizionali clienti stanno differenziando le fonti di approvvigionamento (India) o stanno ormai producendoseli autonomamente (Cina).
La Francia, secondo esportatore mondiale a ben 67 paesi, ha triplicato il suo export tra i due periodi: +187%, di cui il 28% appunto all’India, il 15% ai paesi europei e il 9,7% al Qatar. La Cina, quarto esportatore, si ferma al 5,9%, dato che i grandi acquirenti esitano per motivi politici a comprare da Pechino.
L’import in Asia e Oceania appare in diminuzione dato che, come abbiamo detto, la Cina sta riducendo i suoi acquisti per autoprodursi gli armamenti in casa. India, Pakistan, Taiwan, Corea del Sud e Giappone sono gli altri paesi importatori di questa regione che comunque si conferma come la maggiore a livello globale per ricezione di armamenti. Mentre cala l’import nell’area del Medio Oriente, aumenta quello in Africa occidentale (+82%) a causa del deterioramento della sicurezza in quel quadrante.
Tra le tante informazioni del Rapporto SIPRI, è interessante rilevare che, a fronte delle pressanti richieste agli europei da parte del presidente Trump di comprare armi made in USA, già oggi risulta che diversi paesi del Vecchio Continente lo stiano facendo, anche massicciamente. La quota percentuale degli Stati Uniti come fornitori sull’import dei singoli paesi infatti appare non irrilevante: Olanda 97%, Italia 94%, Norvegia 91%, Danimarca 79%, Germania 70%, Romania 61%, Polonia 45%, Belgio 43%. Il piano “ReArm EU” della Von der Leyen da 800 miliardi di euro è quindi di particolare interesse non solo per le industrie belliche nostrane, ma, stando ai dati, ancor di più per quelle statunitensi.
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