Roma, 23 marzo 2023

Uranio impoverito: un’arma a doppio taglio? 

A cura di M. Simoncelli

L’annuncio di una nuova fornitura inglese di armi all’uranio impoverito (Depleted Uranium, DU) all’Ucraina ha provocato una dura reazione da parte russa, evidenziandone i timori rispetto a questa tipologia di proiettili. L’Archivio Disarmo ha già pubblicato due rapporti sulla questione nel 2019 e nel 2022, mettendo in rilievo la pericolosità di tali munizioni in particolare per le conseguenze ambientali e sanitarie. Come è noto, considerata la sua elevatissima densità, quasi il doppio di quella del piombo, il DU (prodotto in modo automatico e parallelo a quella dell’energia nucleare) ha trovato larga applicazione anche in campo militare, in particolare nella produzione di munizioni anticarro e nelle corazzature dei veicoli, in particolare nella costruzione delle munizioni perforanti (rendendo così penetrabili le spesse corazze dei carri armati), nel rivestimento esterno dei mezzi militari ed è presente in numerose altre armi, non analizzate perché sottoposte al segreto militare (es. Missile Cruise Tomahawk III, BLU107 Durandal a grappolo, BLU-109/B 2000 pounds, GBU28 Laser guided bomb). L’impatto contro un corpo solido, soprattutto se composto di acciaio, fa sì che il proiettile a DU si incendi aumentando notevolmente la capacità di infliggere danni ai mezzi nemici. Dal punto di vista del diritto internazionale non è possibile, attualmente, individuare una proibizione dell’uso di DU né in norme convenzionali né consuetudinarie e non è possibile affermare che tali armi siano contrarie ai principi del diritto umanitario, senza il riconoscimento della certezza del nesso tra il loro impiego e i danni. Le munizioni a DU sono state usate nelle Guerre del Golfo (1991 e 2003), nei Balcani, in Serbia, in Bosnia Erzegovina (1995) e in Kosovo (1999), nonché in Siria e in Afghanistan. Sebbene le conseguenze dell’utilizzo di DU siano presenti in tutti i Paesi dove tali munizioni furono usate, in Iraq l’incidenza di malattie dovute al DU risulta essere maggiore rispetto agli altri. Studi effettuati per dimostrare il nesso tra patologie ed esposizione all’uranio impoverito hanno evidenziato una serie di malattie, come la sindrome di Kwashiorkor, direttamente collegabili all’uso del DU in Iraq ed è stato rilevato anche un parallelismo tra le patologie manifestatesi nei bambini iracheni e quelle apparse nei figli dei veterani statunitensi. Un incremento dell’incidenza di cancro si è verificata in tutta la popolazione dell’Iraq. Secondo il registro dei tumori iracheni, l’incidenza è aumentata significativamente dopo la prima e la seconda Guerra del Golfo. Nel 1991, l’incidenza si attestava intorno a 31.05 casi ogni 100.000 casi. Nel 2003 questo valore ha raggiunto i 61.63 casi ogni 100.000 persone (Alaa Salah Jumaah, 2019). Anche il Pentagono, dopo l’appello di 80.000 soldati, ha deciso nel 2002 di svolgere una propria inchiesta attraverso la “Government Reform and Oversight Committee” per indagare sugli effetti della Guerra del Golfo. Il risultato dell’inchiesta è stato l’ammissione dell’esposizione all’uranio di 20.000 soldati, di cui però si afferma solo 60 furono esposti a livelli pericolosi. Inoltre, ulteriori ricerche del governo statunitense sono giunte alla conclusione che l’aumento di casi di leucemia, dovuti alla contaminazione da DU, è compreso tra il 180 e il 350%. Anche gli allevamenti iracheni sembrano risentire di questa contaminazione con migliaia di animali tra cui mucche, agnelli e polli morti a causa di gravi infezioni. Il possibile vasto uso di queste munizioni nel teatro di guerra ucraino, al di là se sarà utile a contribuire a risolvere il conflitto con la Russia, avrà certamente un impatto negativo sull’ambiente e sulle persone sia attraverso la contaminazione sia attraverso l’inalazione, che si andrà ad aggiungere ai già gravi danni dello scontro armato.